Abbiamo l’onore di ospitare a Spazio Cartabianca la personale di Giulia Agostini. L’autrice, grazie alla sua sensibilità, riesce – con poesia e ironia – non solo a vedere, ma anche a catturare su pellicola, i momenti più intimi della sua quotidianità e i dettagli onirici dei suoi viaggi, in un diario visivo multiforme. Le immagini in mostra raccontano il mondo della fotografa, pieno di oggetti, vite e realtà parallele, che ci scorrono a fianco silenziosi senza poterli toccare.
Come vorrei essere per una volta uno di loro!
Vedere con i loro occhi, ascoltare con le loro orecchie, e decifrare come vivono il tempo, e subiscono la morte.
Come sentono l’amore e percepiscono il mondo. Essere uno di loro, per diventare un più luminoso messaggero di luce in questa epoca buia.
Wim Wenders, Faraway, So Close!
Il lavoro di Giulia Agostini è, per sua stessa ammissione, difficilmente divisibile e catalogabile; la macchina fotografica è lo strumento che utilizza per conservare in una sorta di flusso di coscienza visiva, ciò che le accade attorno e che spesso soltanto lei è in grado di vedere. Documenta con fluida naturalezza la simbiosi percettiva del trascorrere del sé e del mondo.
Non è importante per Giulia essere sul set con una modella, a casa propria o per strada dall’altra parte del mondo, il tutto riconduce sempre al tutto, le immagini nascono e si dispongono in una sorta di caos organizzato, in cui le infinite combinazioni in continuo movimento, formano costellazioni mutevoli in cui possiamo scorgere le sensazioni più intime dell’autrice.
Talvolta come sfuggevoli sussurri nella notte, talvolta come boati che silenziano il traffico cittadino, le connessioni tra gli oggetti ed i soggetti fanno sì che Così lontano, così vicino diventi una dichiarazione di intenti su come il tempo e il luogo siano strumenti inutili nella misurazione della produzione di Giulia.
Assieme a quelli che potremmo definire gli incontri straordinari del suo sguardo, troviamo gli specchi che riflettono l’immagine di sé, attraverso i quali l’autrice scorge, come se fossero dei portali verso un mondo di là una diversa lei in totale sintonia con la realtà parallela del suo io.
Faraway, so close, propone un punto d’osservazione sul percorso artistico intrapreso fin’ora da Giulia, offrendo degli spunti di lettura tra tutte le connessioni possibili dei suoi scatti.
Emanuele Salvagno
Gli uomini credono al mondo molto più che a noi.
E per potergli credere sempre di più si sono creati un’immagine di ogni cosa.
Con le immagini pensano di potersi liberare della loro angoscia, pensano di aver realizzato le loro speranze, appagato i loro piaceri, placato i loro desideri.
Wim Wenders, Faraway, So Close!
La fotografia di Giulia Agostini, documentativa di un processo di ricerca di sé, nasce dalla fusione delle sue esperienze più private e dai riferimenti visivi propri di un’intera generazione nata negli anni Novanta.
Giulia ha realizzato nel corso degli anni un diario visivo onnicomprensivo, dove ogni elemento registrato ha uguale rilevanza.
Le sue immagini hanno un rapporto di analogia e al tempo stesso ferma opposizione con i metodi di fruizione dell’immaginario visivo con cui quotidianamente ci confrontiamo propri dei social network: non c’è traccia di gerarchia nelle immagini che sceglie di fissare su pellicola, – in un costante e ostinato esercizio di catalogazione delle sue esperienze – non esiste un prima e un dopo, non esiste un ordine cronologico, ci sono solo attimi di silenziosa sospensione, quando lo scatto ferma il tempo, e aggiunge una pagina al suo diario.
Allo stesso tempo però Giulia rifiuta il digitale, è ferma nel suo costante confronto con la pellicola – sia essa a colori o in bianco e nero – e i limiti che questo mezzo le impone; l’unicità dello scatto analogico diventa pratica selettiva di ricomposizione della realtà frammentaria che la circonda.
Le sue foto sono la manifestazione di un sentire proprio di una generazione, dello spaesamento nei confronti del reale e della molteplicità di influenze che caratterizza l’immaginario di oggi, un immaginario che attinge al cinema, all’arte, alla moda, a internet e alle riviste patinate in egual misura.
Tutto si mescola in una sorta di flusso di coscienza, di narrazione liquida, un racconto per frammenti della quotidianità dai toni fiabeschi, in cui lo spettatore è facilmente portato a riconoscersi.
La panoramica qui proposta manifesta il tentativo della fotografa di ritrovarsi e ridefinirsi in immagini vicine e lontane, intimamente private o smaccatamente pubbliche, sintomo di un’identità sfaccettata e multiforme quanto la nostra stessa contemporaneità.
Giorgia Volpin
Giulia Agostini si diploma al liceo artistico Amedeo Modigliani a Padova.
Approda alla fotografia dopo essersi dedicata alla pittura e al disegno. Muove i primi passi con la fotografia digitale per poi dedicarsi quasi esclusivamente all’uso della pellicola.
Nel 2011 viene notata, grazie a Flickr, da un professore e curatore del Cleveland Institute of Art, il quale dà a Giulia la possibilità di mostrare le sue foto anche negli Stati Uniti.
Ha esposto, tra gli altri, presso l’ Underline Gallery di New York City, al Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia, alla Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo di Ancona, presso la Fondazione Benetton e presso il Festival F4/un’idea di Fotografia promosso dalla Fondazione Francesco Fabbri.
Nel 2013 ha vinto la quindicesima edizione del “Premio Aldo Nascimben”.
Dal 2016 è presente con le sue opere presso l’Heillandi Gallery di Lugano.
FARAWAY SO CLOSE
Di Giulia Agostini
A cura di Emanuele Salvagno e Giorgia Volpin
Dal 29 settembre al 4 novembre 2017
Aperto dal lunedì al sabato 15:30-19:00 | ingresso libero
E’ gradita la prenotazione
Inaugurazione venerdì 29 settembre ore 18.30
Spazio Cartabianca
Via Giorgione, 24
35020 – Albignasego (PD)
info@spaziocartabianca.it